Gioacchino Criaco, nato ad Africo, un piccolo centro della Locride, da una famiglia di pastori, si può considerare l’erede territoriale di Corrado Alvaro. Dallo scrittore di San Luca infatti, eredita la funzione di cantore dell’Aspromonte, questa zona della Calabria venuta alla ribalta per i sequestri di persona, creando un’etichetta che ne ha offuscato le bellezze e le caratteristiche peculiari. Dopo la Laurea in Giurisprudenza, decide di lasciare il mondo forense per tornare nel suo “microcosmo” e iniziare a scrivere. Nel 2008 arriva Anime Nere, quello che è stato definito il primo “noir Calabrese”. Da questo primo romanzo di Gioacchino Criaco, è stato tratto l’omonimo film di Francesco Munzi, vincitore tra l’altro del David di Donatello.
Oggi Criaco è impegnato nel difficile compito di valorizzare e svelare i tesori nascosti dell’Aspromonte.
Cosa l’ha ispirata a scrivere questo libro?
Ho iniziato a scrivere tardi, superati i 40 anni e dopo aver passato la maggior parte della mia vita fuori dalla Calabria. E’ stato il modo per tornare, per far pace, per conoscere la Calabria in modo diverso e per raccontarla in modo diverso.
Qual è il personaggio del suo libro a cui è particolarmente legato e perché?
Dei ragazzi protagonisti, il mio preferito è Luciano: attraverso la lettura si appropria degli elementi di conoscenza, e in modo commovente prova a condividerli, a spiegare, inutilmente, dove, tragicamente, certe scelte porteranno.
Cosa rappresenta per lei il paesaggio aspromontano?
L’Aspromonte è il protagonista assoluto del romanzo, anzi, la protagonista, perché è femmina Mana Gi, la grande madre aspromontana che ha partorito il popolo della montagna, che è Aspru-Oscia, in grecanico: lucente ombra. Quindi montagna della luce e non aspra per come impropriamente tradotto il significato.
Cosa pensa delle persone del sud, spesso stereotipate, in relazione alla realtà di questo territorio?
Purtroppo il sud è spesso raccontato da chi non è del sud, e ci passa un po’ di tempo convincendosi di poter spiegare una storia complessa e millenaria in poche battute. la rappresentazione ha sostituito la realtà abbeverandosi esclusivamente ai pozzi della cronaca vera. Il sud, la Calabria hanno bisogno di un punto di vista interno, autentico: di una verità spietata, ma pure informata. Questo è il senso di ciò che scrivo.
Lei ha mostrato senza ipocrisie delle realtà in cui “niente è quello che sembra”. Il film, tratto dal suo libro, è stato trasmesso in più di 19 Paesi. Secondo lei quali sono i tratti caratteristici della sua scrittura che colpiscono il lettore?
Io indago il mondo dei cattivi, attraverso i miei protagonisti si comprende quanto l’umanità sia uguale in ogni uomo e quanto le condizioni sociali, le opportunità, i contesti, determinino le scelte o costringano a percorsi distruttivi. I calabresi non sono geneticamente cattivi, qualcosa è successo perché una parte di loro prendesse vie infernali. Io tento di individuare le cause. Scoprire l’umano nei mostri è un fatto spiazzante, toglie tranquillità alla comoda divisione, assoluta, fra buoni e cattivi.