Infrangere il muro delle due ore in maratona. È il chiodo fisso, la paranoia, dell’atletica internazionale, dei grandi fondisti, dei preparatori atletici e soprattutto dei media. Un’ossessione incoraggiata da un mondo, quello dello sport, che sta normalizzando – e spettacolarizzando sempre più – l’infrangimento delle barriere umane. Nella maratona il limite è un fattore delicato. Chi l’ha provata lo sa; ogni metro ha un suo peso specifico. E così per tutti, non fa distinzione tra amatori e professionisti.
Al momento sulla piazza i due atleti che potrebbero compiere il miracolo sotto i centoventi minuti sono due, Eliud Kipchoge e Kenenisa Bekele, rispettivamente a Berlino 2.01.39, nel 2018, e 2.01.41 l’anno successivo. I due maratoneti avrebbero dovuto sfidarsi domenica 4 ottobre alla Virgin Money London Marathon, una gara che prometteva goduria pura ma che ha sgonfiato le aspettative dopo il ritiro, poche ore prima della partenza, di Bekele per infortunio. E dall’inaspettato ottavo posto di Eliud Kipchoge.
Ci si aspettava fosse lui, attualmente il più veloce del mondo nei 42,195 chilometri, a tirare la batteria di atleti élite nei quattro giri del parco reale di St.James, a pochi passi da Buckingam Palace, fino al tradizionale traguardo di The Mall, l’unico particolare rimasto invariato di questa edizione che,cuasa Covid, ha obbligato gli organizzatori a rivedere il percorso e a rinunciare allo spirito dei consueti 50mila runner amatori. E invece Eliud, nonostante la pioggia ha lasciato i fan a bocca asciutta.
Abbassare di un minuto e quaranta secondi il record attuale è ancora impresa incompiuta. Ancora impensabile su un circuito regolare, nonostante un anno fa Kipchoge ci abbia fatto assaporare il miracolo alla finish line di Vienna, al termine del mega evento costruito ad hoc per portare il keniota a 1’59’’40. Venti secondi, seppur strappati al cronometro per merito di un’organizzazione scientifica e di una squadra di lepri scese in terra dal gotha dei top runner. Il brivido dell’impossibile. Kipchoge, per la prima volta, ha guardato al di là di quel muro che sembrava invalicabile, un Ulisse di Kaptagat oltre le Colonne d’Ercole del running mondiale. Ovviamente ora servirà farlo in una gara regolare per cristallizzare un record omologato.
La maratona perfetta, finora, non è ancora stata corsa. Forse meglio così, per non togliere fascino a questa eterna rincorsa.
Per far sognare gli appassionati – e per far appassionare i sognatori – Comodeeno ha preparato una piccola selezione di libri dedicati alla maratona e ai maratoneti. Tra le pieghe di vite sbocciate dal basso, spesso dalla povertà, cresciute sulle strade polverose e periferiche, ai margini delle capitali, masticando polvere e fatica ma continuando a sognare in grande e a parlare al cielo.
Due Ore, Ed Caesar
Ed Caesar, scrittore ma prima di tutto un giornalista. Titolare di tre Amnesty International Media Award per i servizi sulle guerre civili in Africa Orientale e un riconoscimento come miglior report 2014 consegnato dalla Foreign Press Association di Londra, Caesar collabora con alcune grandi testate internazionali (New Yorker, CQ, The Atlantic) per le quali spesso e volentieri scrive di corsa. In Due Ore. Alla ricerca della Maratona perfetta mette nero su bianco una riflessione sul significato di un’utopia sportiva e universale attraverso le storie, professionali e personali, dei principali atleti che nell’età contemporanea hanno fatto della maratona il senso della propria esistenza. E che alla disciplina (in ogni senso) hanno dedicato la loro vita.
Maratoneti, storie di corse e corridori, Marco Patucchi
Quarantadue chilometri e 195 metri. Lungo questa distanza Marco Patucchi, giornalista di Repubblica, ricostruisce le storie dei grandi campioni: Abebe Bikila, Stefano Baldini, Haile Gebrsellassie. E cerca di spiegare la magia della maratona, da sfida individuale a esperienza collettiva. Alle fondamenta delle imprese degli atleti professionisti ci sono il sacrificio, la dedizione, la voglia di fare bene e di spostare più in là l’asticella, di superare il limite. Gli stessi principi che animano i runner, amatori e sconosciuti, di tutto il mondo. Questo libro ci dà prova della meravigliosa democraticità della corsa.
L’arte di correre, Murakami Haruki,
Correre è l’occasione che ogni giorno possiamo concederci per parlare con noi stessi. Senza nasconderci, senza mentire. Per misurarci con il nostro corpo e con le nostre aspettative. Il bosco, l’asfalto della città, la linearità della campagna, le strade battute mille volte intorno a casa: lo spazio in cui si muove il runner è il foglio bianco su cui si riordinano i pensieri, si abbozzano le idee, si combattono le frustrazioni. Per Murakami è un esercizio di autodisciplina, raccontato qui con la sensibilità di un uomo con i piedi per terra e la profondità dialettica di un intellettuale sopraffino impegnato a fare i conti con se stesso.
Born to run, Christopher McDougall
Un altro ex reporter di guerra con una passione folle per la corsa: Christopher McDougall. In Born to run, altro best seller della letteratura podistica, l’autore ci conduce alla scoperta dei Tarahumara, una popolazione che vive nei selvaggi Copper Canyon dello stato messicano di Chihuahua. Antesignani di quelli che oggi conosciamo come ultra runner, i Tarahumara riuscivano a percorre lunghissime distanze utilizzando una tecnica di corsa per certi versi meditativa e attraverso un consumo molto equilibrato del cibo. Questo libro ha scatenato una inversione di rotta nel modo di concepire la corsa, assunto da molti come manuale una nuova filosofia del running. Tra i capitoli anche diversi consigli pratici sull’ultramaratona.
La solitudine del maratoneta, Allan Sillitoe
Per finire un romanzo, nel quale la corsa diviene un pretesto per toccare gli abissi intimi della psiche del protagonista. Colin Smith è un giovane problematico che da anni vive in riformatorio. Correndo una maratona si interrogherà sul senso delle cose e delle azioni che ha compiuto, avvolto nel grigiore dell’Inghilterra dei sobborghi, delle fabbriche, condannata alla mancanza ma desiderosa di rivalsa. L’opera, considerata un capolavoro del realismo d’oltremanica, ha ispirato la trasposizione cinematografica di Tony Richardson.