Sono Armando Canzonieri e sono nato nel 1981 a Lamezia Terme. Quando ero piccolo (intendendo con la parola “piccolo” un’età che va dagli 8 ai 13 anni) e mi capitava di dormire il pomeriggio, mi arrabbiavo sempre con mia madre perché non mi aveva svegliato. Per me era inconcepibile stare a casa, di giorno, oltre il tempo necessario per mangiare. Poi sono cresciuto e ho trovato un unico buon motivo per stare a casa: leggere. Da quando ho scoperto che potevo leggere ho iniziato ad apprezzare la vita a casa. E in pratica, da quel momento, non ho mai smesso. Mi sono iscritto a filosofia, laurea, dottorato, abilitazione e adesso insegno filosofia e storia nei licei. Naturalmente anche stare all’aria aperta ha preso, con il tempo, forma. All’inizio era un vago desiderio di stare lontano da casa, poi è arrivata la giocoleria e tutto ha avuto un senso.
Alla scoperta dell'autore
Scrittrici/scrittori preferit*
Dostoevsky , Gurdijeff, Aristotele, Auster.
Libro che ti ha cambiato la vita
“Memorie dal sottosuolo” di Dostoevsky, “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Uspenskij, “Essere e Tempo” di Heidegger, “Etica Nicomachea” di Aristotele, “Diatribe” di Epitteto
Come sei arrivato alla scrittura
Diciamo che per me la scrittura è sempre un momento di chiusura dei conti, è sempre l’ultima fase di un processo che parte dalla vita, da quello che mi capita, da frasi che mi restano impresse e mi ossessionano. Ecco, quando (dopo aver girato incessantemente nella testa facendomi vivere momenti di assenza ripetuti) queste cose si assestano, rallentano, allora mi metto a scrivere. Quindi posso dirti che io scrivo quando voglio lasciarmi alle spalle qualcosa, come se scrivendola io stessi anche dicendo: “ecco, ora questa cosa non fa più parte di me, posso lasciarla andare e sono in grado di spostare l’attenzione altrove”.
Come funziona il tuo processo di scrittura
Bella domanda. Io sono molto confusionario e molte delle cose che leggo poi riesco anche a dimenticarle. Inoltre quando inizio a scrivere vado molto di fretta. Tutto inizia con un processo di accumulo. Inizio a riportare sul pc le note di lettura che ho scritto a margine di alcuni libri e inizio a commentarle, ad ampliarle a connetterle. In questo modo arrivo sempre a raccogliere molto più materiale di quello che poi finirà nel testo, perché poi il testo deve avere una struttura unitaria, deve avere un tronco e dei rami, non può essere né una collezione di tronchi, né tanto meno una collezione di rami. E poi non sopporto ritornare sulle cose che scrivo. In genere c’è sempre un testo centrale da cui la scrittura parte. In un caso è stato un corso universitario di Heidegger sulla Retorica di Aristotele, in un altro sono state le Diatribe di Epitteto. Come se una singola lettura facesse da attrattore, attraesse a sé altre letture sparse illuminandole dalla giusta prospettiva. Devo però aggiungere una cosa su questo discorso dello scrivere. A me piace moltissimo tradurre. E nel caso della traduzione le cose cambiano. Quando traduco sono più metodico, mi piace stare fermo sulle parole, sulla frasi. Non so come dirlo, quando si tratta dei pensieri di un altro mi sento più responsabile e più in colpa. Se sono impreciso in un mio articolo non mi innervosisco molto, invece nel caso delle traduzioni sento proprio una responsabilità diversa. Detto questo, tradurre è proprio un modo a parte. Un modo bellissimo e unico per leggere, scrivere e pensare.
Perché sei atterrato sul Comodeeno
Perché quello del “comodino” è un concetto, un’atmosfera che mi piace molto. Mi capita spesso, con la mia compagna, di giocare a un gioco che è l’esatto contrario del gioco della torre. Anziché chiederci quali personaggi getteremmo dalla torre noi ci chiediamo: quale personaggio vorresti sul tuo comodino. Nel corso del tempo abbiamo messo sul nostro comodino da Pannella a Emidio Clementi, da Nik Spatari a Filippo La Mantia.